Il catasto e la sua riforma
Ovvero: come il somaro lombardo sarà nuovamente chiamato a pagare per tutti quanti
Comincia sempre così. Il modus operandi è rodato da tempo immemore: quando lo Stato si prepara a farla sporca, partono immediatamente rassicurazioni di ogni genere e tipo. Così, poco prima di quel pugno, ben assestato, capace di farti sputare mezza dentatura, arrivano le carezze e i grattini, che si concretizzano oggi in quel mantra: “non aumenteremo le tasse, fidati”. A questo giro però il rischio che si prospetta all’orizzonte è quello di una delle più grandi mazzate fiscali mai viste nella storia di questo sgangherato Paese. E quando c’è da pagare, neanche a dirlo, la Lombardia è sempre davanti (e dietro) a tutti quanti.

La vergognosa manovra passa sotto la rassicurante dicitura di “integrazione delle informazioni presenti nel catasto”, ovvero la meglio nota Riforma del catasto. Immediatamente qualcuno si è affrettato a spiegarci come, fino al 2026, ovvero l’anno di completamento della riforma, non cambierà nulla. In testa al corteo strombazzante, ça va sans dire, i giornaloni blasonati e le reti unificate. Che sollievo dai, tutto rimandato al 2026, mancano ancora cinque anni dopotutto. Ma a scanso di voler essere un pochino guastafeste, forse varrebbe la pena domandarsi: cosa accadrà dopo?
Procediamo per gradi. Per capire è bene spiegare, in modo semplificato, come funziona il catasto e quali cambiamenti porterà la riforma varata dal Consiglio dei Ministri. Il catasto è quel registro statale che contiene i dati volumetrici di tutti gli immobili presenti sul territorio italiano e ad ognuno di questi è legata una rendita, chiamata per l’appunto rendita o valore catastale. Per questioni storiche, che non è interessante approfondire in questa sede, se rapportata al prezzo di mercato questa rendita è notevolmente inferiore. Indicativamente oscilla tra il 40% e il 60% del valore di mercato. Per capirci, una casa che costa 170 mila euro potrebbe avere un valore catastale di 80 mila.
La rendita catastale è importantissima perché costituisce la base imponibile per tutta una serie di tributi, tra cui l’IMU e l’imposta di registro del 2% sull’acquisto della prima casa.
Posta questa premessa è arrivato il momento di spulciare la riforma per capire quale gramo destino attenda i contribuenti italiani e lombardi, come sempre, in primis.
In buona sostanza l’ambizioso piano dell’Esecutivo Draghi, fortemente caldeggiato in quel di Bruxelles, prevede che entro il 2026 venga attribuita, accanto alla rendita determinata secondo la normativa vigente, una nuova rendita attualizzata e parametrata sui valori di mercato, oltre che il relativo valore patrimoniale, dati che saranno aggiornati periodicamente.

Naturalmente lo stesso decreto contiene anche l’indicazione chiara e rassicurante: le nuove rendite, parametrate ai valori di mercato, non saranno utilizzate ai fini fiscali. Tutto risolto quindi? Assolutamente no. Avendo una discreta esperienza su come si comporta lo Stato con i suoi cittadini (leggi sudditi), ci sentiamo quantomeno in obbligo di farci una domanda: se questa nuova rendita sul valore di mercato non sarà utilizzata ai fini fiscali, allora a cosa serve esattamente? La domanda è naturalmente retorica e la motivazione ufficiale della riforma pare una dèrapage da antologia sugli specchi: una non meglio precisata “operazione trasparenza”, con lo scopo di far emergere gli immobili fantasma. Che detta così, francamente, fa ridere i polli. Non si capisce infatti come mai un immobile non dichiarato dovrebbe emergere nel momento in cui il Governo o i Comuni ne facciano richiesta, quando è molto più conveniente, se proprio, attendere l’immancabile condono che presto o tardi farà capolino dalla porta. Senza contare che questa spiegazione, comunque non risponde alla domanda circa l’uso delle rendite calcolate sui valori di mercato.
Fugato quindi ogni dubbio sul fatto che, contrariamente a quanto crede il Governo, esistono ancora persone dotate di uno straccio di senso critico, tanto da ritenere palese come le nuove rendite, dal 2026, serviranno proprio per aumentare le tasse, è bene focalizzarsi su quali saranno i cittadini maggiormente colpiti una volta che il sistema sarà finalmente rodato e messo a punto.
La risposta a questa domanda è di una banalità disarmante: tutti, nessuno escluso. Da una parte i bersagli diretti saranno ovviamente i proprietari del mattone. Ma dall’altra anche coloro che sono in affitto subiranno l’onda lunga, dato che i padroni di casa cercheranno di scaricare parte dell’aggravio sui loro locatari.
Per non parlare di chi comprerà casa: per questi saranno dolori tremendi. Come dicevamo all’inizio, se si acquista un’abitazione tra privati l’imposta di registro è calcolata sul valore catastale odierno, nel caso della prima casa al 2%. Facendo un esempio concreto, se un cittadino paga un immobile 170 mila euro, con un valore catastale (odierno) a 80 mila euro, in questo momento deve sborsare 1600 euro di imposta di registro. Ma se la base imponibile fossero i nuovi parametri, adeguati ai prezzi di mercato, lo povera vittima in questione sarebbe costretta a sborsare ben 3400 euro. E analogo ragionamento andrebbe fatto per l’IMU, il cui importo sarebbe destinato a crescere di una misura variabile tra il 40% e il 60%.
Ma c’è poi un altro fondamentale elemento, che ci riguarda da molto vicino. A subire maggiormente il colpo sarà la Lombardia, e in particolare gli abitanti dei capoluoghi, Milano in primis, dove il mattone già oggi lo si paga a peso d’oro. Se ancora una volta sarà usato il valore di mercato per parametrare le nuove imposte, viene da sé comprendere come i cittadini più martoriati saranno quelli che risiedono proprio in quelle città dove le case costano di più. Non serve snocciolare i dati regione per regione, o provincia per provincia, per poter capire quali saranno, ancora una volta, gli agnelli sacrificali di questa scellerata operazione. Un’operazione dilazionata negli anni, in là nel tempo, oltre il 2026, ben lontana dalla memoria sempre e comunque troppo corta degli italiani (e anche dei lombardi, sigh!), che probabilmente sarà affidata alle sapienti mani di qualche governo tecnico, rigorosamente non eletto, di qualche Draghi o Monti di turno, giunto dalle nebbie per salvarci tutti. Ancora una volta.