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22 OTTOBRE 2017 – 22 OTTOBRE 2021

Referendum autonomia: obiettivo ancora lontano

Un focus sulla situazione lombarda a quattro anni dal voto


La Lombardia, così come il Veneto, che nella stessa data propose il medesimo quesito referendario, arriva al quarto anniversario del referendum sull’autonomia senza aver portato a casa l’obiettivo.

Ci sentiamo di aggiungere che a questo anniversario ne dovremo aggiungere altri ancora, prima di ottenere quanto auspichiamo: l’autonomia della Lombardia.

La trattativa con Roma è lunga e complessa e la pandemia da Covid19 ha inciso, fornendo un alibi di ferro per mettere il tema nell’armadio, fino a data da destinarsi.

Dopotutto, lo sappiamo bene, Roma non ha alcune intenzione di mollare l’osso e se due regioni hanno plebiscitariamente chiesto “l'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, le altre 18 sono più interessate a tenersi stretta la “mucca da mungere” piuttosto che aprire il recinto e farla uscire. Dobbiamo ammetterlo: il federalismo in Italia è una battaglia di minoranza.

Fin dall’unificazione del Paese, le istanze federaliste e autonomiste sono sempre minoritarie e sonoramente bocciate da una classe politica che, a conti fatti, preferiva un’amministrazione unica per tenere sotto controllo (con le buone o con le cattive) un territorio estremamente variegato ed eterogeneo, con ben pochi tratti caratteristici in comune. E così, in modo miope, prevalse un centralismo di Stato, dal marcato accento sabaudo, certamente più adatto a una conquista piuttosto che a un’unificazione.

Il Paese si è vestito con tre diverse architetture istituzionali: l’Italia nacque monarchia liberale, divenne poi un regime semi-totalitario e, abbattuta la dittatura, votò per trasformarsi in repubblica. Una costante però c’è sempre stata ed è rimasta immutata nel tempo: il centralismo dello Stato. Nonostante tutto, anche dopo il 1948 e successivamente all’entrata in vigore della Costituzione, che tratteggia un’Italia che “riconosce e promuove le autonomie locali”, la sostanza nell’apparato è rimasta la stessa.

È indicativo come, sebbene le Regioni fossero presenti fin dal testo originale della Carta, queste non siano state “attivate” fino al 1970, anno delle prime elezioni regionali del 7 e dell’8 giugno.

Facendo un salto temporale al più recente passato, arriviamo al 2006, anno in cui si votò il Referendum sulla Devolution. Il risultato fu schiacciante e inequivocabile: in due sole regioni trionfò il SI, Lombardia e Veneto, neanche a dirlo. Nelle altre 18 regioni d’Italia i cittadini votarono contro e la Devolution morì in quelle urne.

Alle resistenze politiche delle altre aree italiche, unitissime da destra a sinistra sul fronte del mantenerci il giogo al collo, si sommano quelle burocratiche: il nostro apparato statale era, è e rimane profondamente sabaudo e centralista. Un tratto ben marchiato nel DNA in tutte le articolazioni statali, difficilissimo da scardinare.

Fatte queste doverose premesse, non siamo qui per descrivere un quadro autoassolutorio dei lombardi. Lombardia regione virtuosa e martire, vittima di bieco centralismo italico? Non vogliamo abbracciare questa tesi. Esempi a noi molto vicini geograficamente dimostrano come la battaglia per l’autonomia sia complessa, certamente, ma non impossibile da vincere.

Si parla delle due regioni tanto invidiate per la loro autonomia: il Trentino-Alto Adige/Sud Tirol e il Friuli-Venezia Giulia. Entrambe queste realtà sono riuscite a ottenere il riconoscimento in Costituzione e non soltanto per la presenza di minoranze etniche (specie per quanto attiene il Friuli, dove il gruppo sloveno non aveva certo la consistenza numerica di quello tedesco in Alto Adige), ma anche grazie a leadership politiche di alto profilo: Alcide de Gasperi e Tiziano Tessitori su tutti.


La storia quindi ci permette di trarre l’insegnamento che ancora troppi lombardi non vogliono cogliere: l’autonomia, se mai verrà ottenuta, arriverà soltanto quando tutto il popolo lombardo acquisirà finalmente l’orgoglio e la coscienza di sé stesso.

10 milioni di cittadini abitano in Lombardia. Iniziamo a chiederci quanti di questi si sentano veramente lombardi. Domandiamoci quali ragioni facciano sentire non lombardi gli altri e ancor di più cosa spinga alcuni di loro a essere contrari alle rivendicazioni autonomiste.

Uniti, come popolo, la nostra battaglia, quella di chi riesce a ritagliarsi due minuti per leggere questo blog, potrà essere vinta.

Quattro anni fa il SI al referendum ottenne il 96%. Votarono poco più di tre milioni di lombardi. I votanti chiamati a quell’elezione erano quasi otto milioni (7.897.056 per la precisione). La cosa importante adesso è come arrivare al cuore di questi lombardi, facendogli capire l’importanza della battaglia autonomista. Ma soprattutto facendo loro comprendere che l’interesse della Lombardia equivale all’interesse di tutti noi.


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